di
don Anthony Cekada
1
Molti
uomini che sembrano possedere l'autorità nella Chiesa
insegnano errori e
impongono leggi
dannose. Come riconciliare tutto questo con l'infallibilità?
Premessa
Se ora assisti regolarmente alla
Massa tradizionale in latino è perché, ad un certo punto, hai
concluso che l'antica Messa e la vecchia dottrina sono
cattoliche e buone, mentre la nuova Messa e gli insegnamenti
moderni, in qualche modo, non lo sono. Tuttavia, hai dovuto
probabilmente affrontare (come me) qualche preoccupazione
iniziale: cosa succede se la Messa tradizionale alla quale vado
non è approvata dalla Diocesi?
Sto sfidando l'autorità legittima
nella Chiesa? Sto disubbidendo al Papa? Questo è il «problema
dell'autorità», e sembra presentare un vero dilemma. La
Chiesa insegna che il Papa è infallibile in materia di fede e di
morale. I buoni cattolici, inoltre, rispettano le leggi del
Papa e la Gerarchia. Al contrario, i cattivi cattolici scelgono con
cura le leggi che vogliono rispettare. Allo stesso tempo, molti
uomini che sembrerebbero possedere l'autorità nella Gerarchia ci
comandano di accettare certe dottrine e una Messa che
danneggiano la fede o producono altri effetti disastrosi. Cosa
deve fare un cattolico?
Perché rifiutare i cambiamenti?
Per risolvere il dilemma, dobbiamo
in primo luogo considerare i motivi che ci hanno spinti ad
abbandonare le
nostro parrocchie. In molti casi, abbiamo constatato la
contraddizione con l'insegnamento cattolico stabilito o
l'irriverenza nel culto. In altre parole, abbiamo
immediatamente riconosciuto qualche elemento della nuova
religione come un errore dottrinale o un male.
Sappiamo anche che le nostre obiezioni non riguardano
cambiamenti secondari. Al contrario, le nuove dottrine ci sono
apparse come cambiamenti sostanziali: compromessi,
tradimenti, o contraddizioni dirette dell'immemorabile
insegnamento cattolico. Ora consideriamo il nuovo sistema di
culto come cattivo, irriverente, un disonore al SS.mo
Sacramento, ripugnante alla dottrina cattolica, o totalmente
distruttivo per la fede di milioni di anime.
Ragioni pesanti
come queste - e non piccole banalità - sono ciò che ci ha
condotto a resistere e a rifiutare i cambiamenti introdotti dal
Concilio Vaticano II (1962-1965). Se siamo giunti a questo punto
e abbiamo riconosciuto (come dovremmo) che diverse dichiarazioni
ufficiali o numerose leggi emanate dalla Gerarchia
post-conciliare contengono errori o mali, siamo in effetti sulla
strada giusta per risolvere il problema apparentemente spinoso
dell'autorità. Permetteteci di esaminare il perché.
Alcuni errori e mali
Cominciamo elencando qui alcuni
degli errori o mali approvati ufficialmente dal Vaticano II, da
Paolo VI (1897-1978) o dai suoi successori:
-
Il Vaticano II insegna che
(e questo viene ripetuto nel nuovo Codice di Diritto
canonico del 1983) la vera Chiesa di Cristo «sussiste»
(anziché «è») nella Chiesa cattolica. Ciò
implica che la vera Chiesa può «sussistere» anche in
altre confessioni religiose.
-
L'abolizione nel nuovo
Codice di Diritto canonico del 1983 della distinzione
tradizionale tra il fine primario del matrimonio
(procreativo) e quello secondario (unitivo), ponendo
questi fini sullo stesso piano, costituisce
un'inversione del loro ordine. Questo cambiamento offre
un tacito appoggio alla contraccezione, giacché la
proibizione del controllo delle nascite è basata
sull'insegnamento secondo cui la procreazione è il fine primario
del matrimonio.
-
Nella versione originale
latina del nuovo Messale di Paolo VI sono stati
sistematicamente soppressi i seguenti concetti: l'inferno,
il giudizio divino, la collera di Dio, la punizione del
peccato, la malizia del peccato, il peccato come il male
più grande, il distacco dal mondo, il purgatorio, le
anime dei trapassati, la regalità di Cristo sulla Terra,
la Chiesa Militante, il trionfo della fede cattolica, i
mali dell'eresia, dello scisma e dell'errore, la
conversione dei non-cattolici, i meriti dei Santi e i
miracoli. Eliminare queste dottrine dalla liturgia
equivale a segnalare che esse non sono più vere, o
almeno sufficientemente importanti, o meritevoli di una
menzione nella preghiera ufficiale della Chiesa.
-
L'approvazione ufficiale
da parte di Paolo VI di poter dare la Comunione nella mano.
Questa pratica venne imposta nel XVI secolo dai
protestanti per negare la transustanziazione e la natura
sacramentale del sacerdozio.
-
L'introduzione ufficiale al nuovo Ordinario della Messa (l'Institutio
Generalis Missali Romani), un documento ufficiale, insegna che la Messa
è una riunione-cena, co-celebrata dall'assemblea e dal
suo presidente, durante la quale Cristo è presente nei
fedeli, nella lettura della Sacra Scrittura, e infine
nel pane e nel vino. Ciò coincide con il modo
protestante o modernista di concepire la Messa, e offre
un fondamento teorico ai conseguenti «abusi».
Gli insegnamenti di Benedetto XVI
A quelli appena visti,
potremmo aggiungere altri insegnamenti di Giovanni Paolo
II (1920-2005) e di Benedetto XVI, entrambi
ritenuti erroneamente dei «conservatori». Le loro
dichiarazioni e i loro scritti rivelano un penetrante
problema teologico che va ben oltre quello costituito
dalla riforma liturgica. Durante il Vaticano II, Joseph
Ratzinger è stato uno dei principali teologi dell'ala
modernista, e come tale ha sparso sul suo cammino una
lunga lista di errori. Egli è stato il principale architetto
della nuova teologia della Chiesa, identificandola come il
«Popolo di Dio» o la «Chiesa di Cristo», un qualcosa di
diverso dalla Chiesa cattolica romana - una super-Chiesa -
composta da «elementi» della vera Chiesa posseduti
pienamente (dai cattolici) o parzialmente (dagli eretici e
dagli scismatici). Il vincolo che tiene insieme questa
bestia ecumenica è la nozione ratzingeriana di Chiesa come «comunione».
Come Cardinale, come prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede, e in qualità di consulente dottrinale di
Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger ha sviluppato
questa idea nella Lettera ai Vescovi della Chiesa
cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come
comunione (1992), nella Dichiarazione Dominus Iesus
(2000), nel nuovo Codice di Diritto canonico (1983) e nel
Catechismo della Chiesa cattolica (1997). Ecco alcune
proposizioni tipiche dell'insegnamento di Ratzinger:
-
Le chiese scismatiche
sarebbero «Chiese particolari» unite alla Chiesa
cattolica da «strettissimi vincoli»
2.
-
La Chiesa universale
sarebbe il «Corpo delle Chiese»
(particolari) 3.
-
Le chiese scismatiche
avrebbero un'esistenza «ferita»
4.
-
«Pur essendo
particolari, in esse (le chiese) si fà presente
la Chiesa universale con tutti i suoi elementi
essenziali» 5.
-
La Chiesa di Cristo
sarebbe «presente e operante» anche nelle
chiese che rifiutano il papato 6.
-
Si diventa membri del
«Popolo di Dio» attraverso il Battesimo
7.
-
L'intero popolo
di Dio parteciperebbe all'ufficio di Cristo
8.
-
Il Corpo di Cristo (la
Chiesa) sarebbe «ferito» dalle divisioni
9.
-
«Lo Spirito di Cristo
si serve di queste Chiese e comunità ecclesiali
(separate) come di strumenti di salvezza»
10.
-
Ogni «chiesa particolare»
sarebbe «cattolica», ma alcune sarebbero «pienamente
cattoliche» 11.
Questi insegnamenti sono
contrari ad un articolo delle fede cattolica: «Credo
nella Chiesa una». La parola «una» nel Credo si
riferisce a quella nota per la quale La Chiesa è
«indivisa in sé stessa e non separata da alcun altro» nella fede,
nella disciplina e nel culto. Le dottrina di Ratzinger è
inoltre contraria all'insegnamento dei Padri della Chiesa e
al Magistero ordinario universale secondo cui gli eretici sono
«fuori dalla comunione
cattolica ed estranei alla Chiesa» (Papa Leone XIII).
La Chiesa non può dare cose cattive
ai suoi figli
L'elenco degli errori potrebbe
continuare per pagine. Ogni articolo può essere catalogato
sia come un errore (una contraddizione o un cambiamento
sostanziale degli insegnamenti del Magistero
pre-conciliare), che come un male (qualcosa di offensivo
verso Dio o di dannoso per la salvezza delle anime). Ma se
da una parte la stessa fede ci insegna che questi
cambiamenti sono sbagliati, dall'altra ci spiega anche che
la Chiesa non può sbagliare nel suo insegnamento o dare
alle anime cose cattive.
Infatti, una delle proprietà
essenziali della Chiesa cattolica è la sua
indefettibilità. Ciò significa, tra le altre cose, che
il suo insegnamento è «immutabile e rimane sempre lo
stesso» (Sant'Ignazio di Antiochia). É impossibile
che essa contraddica il proprio insegnamento. Inoltre,
un'altra proprietà essenziale della Chiesa di Cristo è la
sua infallibilità. Tale proprietà non si applica
(come sembrano pensare molti cattolici «tradizionalisti»)
unicamente ai rari pronunciamenti pontifici ex cathedra,
come quelli con cui è stata definita l'Immacolata Concezione
o l'Assunzione della Vergine. L'infallibilità si
estende anche alle leggi disciplinari e universali della
Chiesa. Questo principio è stato esposto da diversi
autori classici di Teologia dogmatica, come Salaverri
(I, 722), Zubizarreta (I, 486), Herrmann (I,
258), Schultes (314–7) e Abarzuza (I, 447),
dove viene normalmente spiegato in questo modo: «L'infallibilità
della Chiesa si estende [...] alle leggi
ecclesiastiche approvate dalla Chiesa universale per la
regolazione del culto e della vita cristiana [...].
Ma la Chiesa è infallibile anche nel pubblicare un decreto
dottrinale, come accennato sopra, ad una tale estensione che
è impossibile sanzionare un diritto universale che potrebbe
essere in contrasto con la fede o la morale, o che per la
sua natura intrinseca potrebbe contribuire al danno delle
anime [...]. Se la Chiesa dovesse commettere un
errore manifesto legiferando in materia di disciplina
generale, non sarebbe più la custode fedele della
dottrina rivelata o un'insegnante fidata del
modo di vivere cristiano. Essa non sarebbe la fedele
custode della dottrina rivelata a causa dell'imposizione di
una legge viziosa, per tutti gli scopi pratici, o per aver
deliberato una definizione dottrinale erronea; naturalmente,
ognuno concluderebbe che ciò che la Chiesa comanda è
conforme con la sana dottrina. Essa non sarebbe
un'insegnante del modo di vita cristiano se mediante le sue
leggi iniettasse la corruzione nella pratica della vita
religiosa» 12.
Quindi, è
impossibile che la Chiesa dia alle anime qualcosa di cattivo
attraverso le sue leggi, incluse quelle che regolano il suo
culto. Se consideriamo da un lato che la Gerarchia
post-conciliare ha approvato ufficialmente errori e mali, e
dall'altro riconosciamo le proprietà essenziali della
Chiesa, dobbiamo necessariamente giungere ad una conclusione
sull'autorità della Gerarchia post-conciliare: se conveniamo
che la Chiesa è indefettibile nel suo insegnamento (il suo
insegnamento non può cambiare) ed è infallibile nell'emanare
leggi disciplinari e universali (le sue leggi liturgiche non
possono compromettere la dottrina o causare danno alle
anime), è impossibile che gli errori e i mali che abbiamo
elencato possano procedere dall'autorità della Chiesa.
A questo punto, è necessario un altro chiarimento.
Perdita dell'ufficio per
eresia
L'unica spiegazione a questi
errori e mali, da cui la dottrina della Chiesa dovrebbe
essere preservata grazie alla sua infallibilità e alla sua
indefettibilità, è che gli ecclesiastici che li hanno
promulgati hanno perso in qualche modo e come individui l'autorità
degli uffici nella Chiesa che sembravano possedere; o che non hanno mai posseduto tale autorità di
fronte a Dio in primo luogo.
I loro pronunciamenti sono
diventati giuridicamente invalidi e non possono vincolare i
cattolici, esattamente come i decreti dei Vescovi
d'Inghilterra che nel XVI secolo accettarono l'eresia
protestante erano invalidi e privi di autorità per i
cattolici britannici. Tale perdita di autorità deriva da un principio
generale presente nella legge della Chiesa: la defezione
pubblica dalla fede spoglia automaticamente una persona di
tutti gli uffici ecclesiastici che ricopre.
Se
ci pensiamo, tutto questo ha un
senso: sarebbe assurdo che qualcuno che non professa più la
fede
cattolica continuasse ad avere autorità sui fedeli.
Il principio secondo cui colui che diserta dalla fede perde
automaticamente il suo
ufficio viene applicato ai pastori, ai Vescovi diocesani e
ad
altri uffici ecclesiastici simili. Esso si applica anche ad un papa.
Perdita dell'ufficio papale
Teologi e canonisti come
San Roberto Bellarmino (1542-1621), il Gaetano,
(1468-1533), Francisco Suarez (1548-1617), Tomàs
de Torquemada (1420-1498), Wernz e Vidal
ritengono, senza compromettere la dottrina
dell'infallibilità pontificia, che anche un papa (come
individuo, chiaramente) che diventa eretico perde il
pontificato.
Inoltre, alcuni di questi autori sostengono che
un papa può divenire scismatico. Ad esempio, nel suo
grande trattato sul Romano Pontefice, San Roberto Bellarmino
pone la questione: «Se un papa eretico possa essere
deposto». Da notare in primo luogo che la sua domanda
presume che un papa può diventare eretico. Dopo una lunga
discussione, Bellarmino conclude: «Un papa che è eretico
manifesto cessa (per se) automaticamente di essere papa e di
comandare, così come cessa automaticamente di essere un
cristiano e un membro della Chiesa. Quindi, egli può essere
giudicato e punito dalla Chiesa. Questo è l'insegnamento
di tutti gli antichi Padri che insegnano che gli eretici
manifesti perdono immediatamente qualsiasi giurisdizione»
13.
Per sostenere la sua posizione, Bellarmino cita diversi passi di Cipriano, di
Ioannes Driedonus e di Melchior Cano (1509-1560).
La base di questo insegnamento, conclude il Santo, è che un
eretico manifesto non può essere in alcun modo membro della
Chiesa, né per mezzo della sua anima, né per mezzo del suo
corpo, né tramite un'unione interna, né attraverso un'unione
esterna. Dopo il Bellarmino, altri eminenti canonisti e
teologi hanno sostenuto in maniera simile questa posizione.
Lo Ius Canonicum di Wernz e Vidal, un'opera in otto
volumi ripubblicata nel 1943, che forse è il commentario più
tenuto in considerazione dal Codice di Diritto canonico del
1917, afferma: «Attraverso la divulgazione aperta
dell'eresia, per via di questo fatto (ipso facto), si
ritiene che il Romano Pontefice caduto nell'errore debba
essere privato del potere di giurisdizione anche prima di
qualsiasi sentenza di accertamento da parte della Chiesa
[...]. Un papa che è caduto nell'eresia
pubblica cesserebbe ipso facto di essere un membro della
Chiesa; perciò, egli cesserebbe anche di essere il capo
della Chiesa» 14.
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San
Bellarmino |
Francisco Suarez |
Melchior Cano |
I canonisti post-conciliari
La possibilità che un papa possa
divenire eretico e possa quindi perdere
il suo ufficio è riconosciuta anche da un autorevole
commento al nuovo Codice di Diritto canonico del
1983: «I canonisti classici discussero la questione se un papa,
nelle sue opinioni private o personali, potesse cadere nell'eresia,
nell'apostasia o nello scisma. Se egli vi fosse caduto in
maniera pubblica e manifesta, avrebbe perso la comunione, e
secondo un'opinione accettata, avrebbe perso ipso facto
anche il suo
ufficio 15. Poiché nessuno può giudicare il papa (Canone 1404),
nessuno potrebbe
deporre un papa per tali crimini, e gli autori sono in disaccordo
tra loro su come la perdita del suo ufficio dev'essere dichiarata in
modo tale
che un posto
vacante possa essere occupato da una nuova elezione»
16.
E dunque, il principio secondo
cui un papa eretico può perdere automaticamente il suo
ufficio è ammesso da una grande varietà di canonisti e di teologi
cattolici.
Papa Innocenzo III e Papa Paolo IV
Anche i Papi hanno sollevato
la possibilità che un eretico possa finire in qualche modo
sul trono di Pietro. Papa Innocenzo III (1198–1216),
uno dei campioni più forti dell'autorità pontificia nella
storia del papato, insegna: «Nondimeno, il Romano
Pontefice non deve vantarsi, perché può essere giudicato
dagli uomini, o piuttosto, può essere chiamato in
giudizio, se puzza manifestamente di eresia. Perché colui che non crede è già giudicato»
17.
Durante il tempo della rivolta protestante,
Papa Paolo IV (1555–1559), un altro vigoroso difensore dei diritti del papato, sospettava
che uno dei Cardinali che
aveva buone possibilità di essere eletto papa
nel prossimo conclave fosse in segreto un eretico. Perciò,
il 16 febbraio 1559, egli pubblicò la Bolla Cum ex
Apostolatus Officio. Il Pontefice decretò che se mai
dovesse succedere che qualcuno che venisse eletto papa
avendo in anticipo «di aver deviato dalla fede, o di
essere caduto in qualche eresia», la sua elezione, anche
se fosse avvenuta con l'accordo e il consenso unanime di
tutti i Cardinali, sarebbe «nulla, non valida e
senza alcun valore» («nulla, irrita et inanis
existat»). Paolo IV decretò che tutti i successivi atti,
leggi e nomine di tale papa invalidamente eletto siano prive
«di qualsiasi forza ("viribus careant") tutte e ciascuna
("omnia et singula") di qualsivoglia loro parola, azione,
opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano
conferire nessuna fermezza di diritto ("nullam prorsus
firmitatem nec ius")».
Inoltre, egli ordinò che tutti
coloro che fossero nominati ad uffici ecclesiastici da tale
papa «siano per il fatto stesso ("eo ipso") e senza
bisogno di una ulteriore dichiarazione ("absque aliqua
desuper facienda declaratione"), private ("sint privati") di
ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e
potere ("auctoritate, officio et potestate")». Quindi,
la possibilità di cadere nell'eresia, è una concomitante
mancanza di autorità da parte di un individuo che sembra
essere il papa, non è affatto forzata, ma è fondata
sull'insegnamento di almeno due Papi.
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Papa Innocenzo III |
Papa Paolo IV |
Le alternative
Più semplicemente, da un lato
sappiamo che la Chiesa è indefettibile (non può sbagliare),
e dall'altro sappiamo - come insegnano diversi teologi e
Papi - che un papa, come individuo, può disertare dalla
fede, e perdere così il suo ufficio e la sua autorità. Una
volta che abbiamo riconosciuto gli errori e i mali della
religione conciliare, non restano che due alternative:
-
La Chiesa è caduta nella
defezione (il che è impossibile);
-
Gli uomini di Chiesa hanno
disertato la fede, e di conseguenza hanno perso i loro
uffici e la loro autorità.
Di fronte ad una tale scelta,
alla luce della logica dei dettami di fede, noi affermiamo
l'indefettibilità della Chiesa, e riconosciamo la defezione
degli ecclesiastici. In altre parole, riconosciamo che i
cambiamenti introdotti dopo il Concilio sono falsi e
cattivi, e che dev'essere rifiutato anche un riconoscimento
implicito degli uomini che li hanno promulgati, in quanto
non possiedono realmente l'autorità della Chiesa.
É
probabile che qualcuno dica che tutti i cattolici
«tradizionalisti» sono «sedevacantisti». In realtà, non
tutti i cattolici «tradizionalisti» si sono ancora resi
conto di questo problema. In questo modo, il problema
dell'autorità è risolto. I cattolici che stanno lottando
per preservare la fede dopo l'apostasia post-conciliare
non hanno alcun obbligo nei confronti di coloro che hanno
perso la loro autorità abbracciando l'errore.
Per riassumere
Ecco un riepilogo di quanto
detto in precedenza:
-
Gli insegnamenti e le
leggi ufficiali sanciti durante il Concilio Vaticano II
e nell'epoca post-conciliare contengono errori e/o
promuovono dei mali;
-
Poiché la Chiesa è
indefettibile, il suo insegnamento non può cambiare; e
giacché essa è infallibile, le sue leggi non possono
essere cattive;
-
È dunque impossibile che
gli errori e i mali ufficialmente promulgati come
insegnamenti e leggi durante il Concilio Vaticano II e
nell'epoca post-conciliare possano procedere
dall'autorità della Chiesa;
-
Coloro che hanno
promulgato tali errori e mali devono in qualche modo
essere privi della vera autorità nella Chiesa;
-
I canonisti e i teologi
insegnano che, una volta divenuta manifesta, la
defezione dalla fede comporta automaticamente la perdita
dell'ufficio ecclesiastico (l'autorità). Essi applicano
questo principio anche ad un papa che, nella sua
posizione personale, in qualche modo diventa eretico;
-
Anche i Papi hanno dato
credito alla possibilità che un eretico possa un giorno
sedere sul trono di Pietro. Papa Paolo IV ha decretato
che l'elezione di tale papa sarebbe nulla, e che sarebbe
privo di qualsiasi autorità;
-
Poiché la Chiesa non può
disertare la fede, ma un papa - come individuo - lo può
(e, a fortiori, lo possono i Vescovi diocesani),
la spiegazione più plausibile agli errori e ai mali
conciliari e post-conciliari che abbiamo elencato è che
essi procedono da individui che, nonostante
l'occupazione della Sede di Pietro e delle varie sedi
diocesane, non possiedono obiettivamente l'autorità
canonica.
Sopra: il
Concilio Vaticano I (1869-1870) ha sancito il dogma
dell'infallibilità pontificia.
Il Papa riceve
un'assistenza tutta particolare da parte di Dio.
Abbiamo ampiamente dimostrato
che è contrario alla fede cattolica asserire che la Chiesa
può insegnare l'errore o può promulgare leggi cattive.
Abbiamo anche dimostrato che il Vaticano II e le sue riforme
contengono errori contro la dottrina cattolica e leggi
cattive e dannose alla salvezza delle anime. Perciò, la fede
stessa ci costringe ad affermare che coloro che hanno
insegnato questi errori o hanno promulgato queste leggi
cattive, nonostante le apparenze, non possiedono l'autorità
nella Chiesa cattolica.
Solamente così l'indefettibilità
della Chiesa cattolica è preservata. Quindi, come cattolici
che affermano che la Chiesa è indefettibile e infallibile,
abbiamo il dovere di rifiutare e di ripudiare l'affermazione
secondo cui Paolo VI e i suoi successori sarebbero stati
veri Papi. D'altra parte, lasciamo all'autorità della
Chiesa, quando tonerà a funzionare in maniera normale, il
compito di dichiarare con autorevolezza che questi presunti
papi non erano veri papi.
Dopo tutto, come semplici
sacerdoti, non possiamo emettere giudizi autorevoli, sia
legislativi che dottrinali, che vincolano la coscienza dei
fedeli. Infine, noi cattolici «tradizionalisti», non abbiamo
fondato una nuova religione, ma unicamente messo in atto
un'«azione di contenimento» per preservare la fede e il
culto cattolico fino a giorni migliori. Nel frattempo,
quella méta si servirà nel modo migliore, non solo se
rinvieremo con attenzione certi problemi difficili ai
principî teologici, ma anche alla virtù teologica della
carità.